mercoledì 29 maggio 2013

IL DELITTO E' SERVITO: IL MISTERO DELLA CAMERA CHIUSA

UN CLASSICO DEL GIALLO DELLE ORIGINI, L'ENIGMA PIU' DIFFICILE DA RISOLVERE PER L'INVESTIGATORE: 
IL LOCKED ROOM MURDER - DALLA FINE DELL'OTTOCENTO AGLI ANNI '40 - LA STORIA DI UN SOTTOGENERE POLIZIESCO DI INDUBBIA EFFICACIA 

Qual è l’omicidio che si presenta a prima vista “impossibile” da risolvere? Quale è il crimine che la polizia non sa spiegarsi, per le condizioni stesse in cui è stato realizzato? 
Gli appassionati del genere giallo risponderebbero che stiamo parlando di un crimine commesso in una stanza chiusa dall’interno. Dove nessuno è entrato. A parte la vittima, che però non parla perché è passata nel regno dei morti.
Perché l’assassino non ha lasciato tracce del suo passaggio? In che modo è penetrato nella camera se era sigillata e la porta non presenta segni di scasso? Un essere umano può passare attraverso le pareti e svanire nel nulla? Siamo in presenza di un fenomeno paranormale? Chi ci dice come sono andate le cose? 
“Naturalmente io so chi è l’assassino, mon ami”, affermerebbe Hercule Poirot. E infatti l’eroe, il solito immancabile detective dal proverbiale fiuto, ha un genio talmente smodato da scoprire che non ci sono elementi inspiegabili, da scartare l’ipotesi che l’assassino appartenga al mondo immateriale degli spiriti e ricondurre i fatti ad un’origine meschinamente umana.
La situazione del “delitto della camera chiusa”, cioè del vile assassinio che avviene dentro una stanza impenetrabile, costituisce un genere nel genere e, secondo il volume di Adey Locked Room Murders and Other Impossible Crimes, è uno stratagemma adottato da duemila romanzi e racconti. 
Questo sottogenere viene considerato da molti l’espressione matura del poliziesco, molto di più di un semplice indovinello, perché lascia il lettore incerto sino alla fine sulla veridicità e sulla consistenza dei fatti che gli sono stati raccontati. Durante lo sviluppo del “giallo della camera chiusa” serpeggia un clima di incredulità, che nelle ultime pagine si tramuta in un netto rifiuto del soprannaturale a favore della razionalità con cui l’investigatore ricostruisce gli eventi.

Se tralasciamo il racconto di Le Fanu Passage in the Secret History of an Irish Countess, il primo mistero della stanza chiusa coincide con la nascita del giallo. 
Con parole dense di tragicità Edgar Poe descrive il momento della scoperta dei corpi in un appartamento ermeticamente serrato: «Arrivati in una grande stanza la cui porta, chiusa dall’interno, dovette essere forzata, agli occhi dei presenti si offrì uno spettacolo tale da agghiacciarli». Ne Gli assassinii della Rue Morgue il colpevole insospettabile è una scimmia dotata di una forza prodigiosa, e la conclusione non rende giustizia all’atmosfera iniziale pregna di effetti sinistri.   
Il vero artefice del successo del sottogenere è senza dubbio Israel Zangwill con Il grande mistero di Bow. Intellettuale inglese di origini russe, Zangwill ha un destino curioso. Inizia a scrivere la sua opera con l’intenzione di parodiare le convenzioni del genere, ma dopo che nel 1892 esce a puntate riscuotendo una popolarità immensa, entra nella storia del giallo grazie al suo unico romanzo.
Siamo in un quartiere povero di Londra. Il signor Constant ha un mal di denti e va a letto, chiedendo alla proprietaria di casa, la signora Drabdump, di essere svegliato presto. Questa, alle sei e quarantacinque del mattino di una nebbiosa giornata, bussa alla porta, ma non ottiene risposta, pertanto si reca in cucina a preparare la colazione. Alle sette e mezzo l’inquilino non è ancora sveglio, quindi la Drabdump ribussa. Anche questa volta non riceve risposta. La signora pensa che abbia deciso di dormire un po’ di più. Quando si son fatte le otto e trenta, un presentimento si insinua nella mente della donna, che decide di chiedere aiuto a Grodman, un investigatore oramai in pensione, che abita dall’altro lato della strada. Giunti davanti alla porta, il detective prova a girare la maniglia, ma è chiusa, e l’unica cosa da fare, a questo punto, è forzarla. La stanza appare silenziosa e solo un filo di luce entra dalle finestre sbarrate. Improvvisamente la macabra scoperta: Constant giace nel letto con la gola tagliata. L’ipotesi di un suicidio viene subito scartata, ma anche quella di omicidio è improbabile. La stanza era sprangata dall’interno, con un camino troppo piccolo per farvi passare una persona.
Così inizia la trama del romanzo di Zangwill. E il leggendario finale ci regala un colpo da ko, spiegando come il povero Constant sia stato drogato e la sua uccisione sia avvenuta soltanto dopo che la porta era stata buttata giù. Il delitto è stato consumato quando la stanza chiusa è stata violata. In realtà a piantare un ago avvelenato nel corpo di Constant è stata la signora Drabdump mentre fingeva di soccorrerlo.

Conan Doyle, nel racconto La banda maculata (1892), presenta il suo enigma a porte chiuse. Il patrigno di due ignare ragazze non esita a servirsi di un velenosissimo serpente che fa entrare dal condotto di aerazione per togliere di mezzo le figliastre allo scopo di sottrarre loro l’eredità lasciata dalla defunta moglie.

Il Mistero della camera gialla (1908) di Gaston Leroux fornisce un esempio fra i più celebri di “camera chiusa”. Qui una serie di sfortunati incidenti concorrono a creare l’illusione che sia avvenuto un omicidio. Ma non è così.
Nel racconto Il pugnale d’alluminio (1909) di Freeman l’omicidio sembra commesso dentro la stanza. Poi scopriamo che l’arma del delitto, il pugnale del titolo, è stato sparato con un fucile dall’esterno ed è passato nella camera attraverso una sorta di feritoia.

Edgar Wallace ne L’enigma dello spillo (1929) elabora un metodo sconcertante per far commettere un omicidio. L’assassino uccide un uomo in una stanza. Poi con calma piazza uno spillo robusto al centro del tavolo. Lega alla capocchia dello spillo un filo che passa nell’occhio di una chiave e fa attraversare una griglia dell’aerazione. Esce dalla stanza e dall’esterno tira la chiave, legata al filo, per infilarla nella serratura. Sempre grazie a questo arzigogolato sistema fa scivolare la chiave sul tavolo, infine esercita un piccolo strattone e stacca lo spillo.   

Inconsueta è invece la soluzione di S.S. Van Dine ne Il mistero della canarina assassinata (1930). Le circostanze dell’omicidio gettano i tutori della legge in uno stato di scoraggiante oscurità e confusione, rivelando «molti recessi bui della misteriosa natura umana» e «la strana, satanica sottigliezza di una mente resa acuta da una disperazione tragica». Ma si vedrà che la camera è solo apparentemente chiusa dal di dentro e l’assassino ha “truccato” la porta con l’intento di farla sembrare serrata e l’ha aperta attraverso un complesso sistema di spilli e cordoncini che fanno leva sul paletto e lo costringono a scorrere. 

David Dannay e Manfred Bennington Lee spingono sul pedale dell’inventiva sino al limite massimo consentito, sfidando ogni plausibilità, quando in Delitto alla rovescia (1934) fanno trovare il cadavere di uno sconosciuto in una stanza la cui unica porta aperta è stata sempre sorvegliata, e al cui interno tutto è rinvenuto capovolto, dai quadri alle pareti fino ai vestiti dell’uomo ucciso, giacca, scarpe, calze, pantaloni, indossati alla rovescia. Ellery Queen scopre che il morto è un prete e l’assassino ha invertito l’arredamento della stanza e tutti gli abiti della vittima per coprire l’unico capo che un sacerdote porta alla rovescia, cioè il colletto. Che siamo all’interno di un gioco squisitamente intellettuale, lo ribadisce il protagonista detective, Queen, che non esita a interrompere la storia per avvertire il lettore che può considerarsi in possesso delle stesse informazioni che ha lui ed espone la sua filosofia investigativa con spensierata lucidità. «Il mio lavoro è fatto non con esseri umani, ma con simboli… mi sono sempre rifiutato di cogliere l’aspetto umano del problema, lo tratto solo come una questione di Matematica».

Sulla base di un recente referendum di critici, il capolavoro della camera chiusa è considerato in modo unanime il romanzo Le tre bare (1935), di John Dickson Carr, che contiene, nel secondo capitolo, una vera e propria trattazione sull’argomento.
« – Ora vi farò una conferenza – ripeté inesorabilmente il dottor Fell sulla meccanica generale e lo svolgimento della situazione nota, nelle storie poliziesche, come “la camera chiusa”.
        Uhm. Tutti quelli che si rifiutano possono saltare a pie’ pari questo capitolo».
Il brillante Fell, protagonista del romanzo, prima ancora di cominciare le indagini, si lancia in una ardita disquisizione teorica. Carr gioca apertamente con il lettore, invitandolo a sciogliere il rebus prima di Fell. L’inventore dell’enigma sollecita il suo pubblico a leggere il romanzo con attenzione e a cogliere ogni indizio, provando a indovinare la cervellotica soluzione. Ormai il sottogenere è diventato scuola compositiva, basata su precise atmosfere e ingredienti, e si appella ad una curiosa “interattività”, un patto di complicità con chi legge. Questa cristallizzazione del topos narrativo vale una lunga digressione che ha un sapore autocelebrativo e che non esclude discussioni letterarie.
« – Ma se volete analizzare situazioni impossibili perché parlare di romanzi polizieschi?
        Perché – rispose tranquillamente il dottore – siamo in una storia poliziesca e non dobbiamo ingannare il lettore fingendo di non esserci. Non dobbiamo inventare scuse elaborate per tirar dentro una discussione sui romanzi polizieschi».
Ma di cosa tratta precisamente Le tre bare? Durante una serata nevosa, Charles Grimaud, esperto di fantasmi e illusionismo, viene ucciso nel suo studio da uno sconosciuto che indossa una maschera. Alcune persone vedono entrare l’uomo mascherato ma, dopo aver sentito lo sparo, non vedono uscire nessuno. Inutile dire che la stanza viene trovata chiusa dall’interno, con Charles agonizzante e nessuna impronta sulla neve fresca intorno alla casa... Da dove è fuggito l’assassino? Un’altra persona viene uccisa, apparentemente nello stesso istante del primo omicidio, in una via londinese imbiancata dalla neve, ed anche in questo caso non ci sono tracce sulla neve che riveste la città come un sepolcro. Sarà Fell dopo un tour de force investigativo a dipanare i meccanismi usati dall’assassino per portare a termine la sua opera. Non sveleremo il mistero, per non rovinare la sorpresa, ma basti sapere che Le tre bare fornisce la soluzione più brillante di tutto il genere.


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