martedì 18 settembre 2012

I migliori horror della storia del cinema

La nota rivista anglosassone Bloody Suspense ha stilato una classifica delle pellicole più significative del genere.
Viene fuori un mirabile consuntivo che è anche una storia del cinema orrorifico, un viaggio dentro i suoi cliché e le nostre paure più riposte. Un percorso dell’immaginario incuboso, tra sinistri scricchiolii e litri di sangue.
Tutti i film da non perdere. Tutti i dvd da noleggiare, per trascorrere una serata “da paura”.

Non sono mancate nel corso dei decenni le graduatorie sui migliori horror della storia del cinema, ma quando è il magazine Bloody Suspense a stamparla, c’è da essere sicuri che sarà il meglio che possa offrire il genere. L’autorevolezza della fonte non lascia scampo: nell’elenco che segue ci sono i veri capolavori del terrore. Horror nudi e crudi, oppure mescolati a generi attigui. Mancano Freaks, Nosferatu il vampiro, Non aprite quella porta, Saw e altri cult. Assenze che, potete immaginare, faranno discutere i cinefili. Ma ogni classifica che si rispetti deve fare delle scelte e, anche se se ci sono esclusioni eccellenti, siamo in presenza dei maestri indiscussi del brivido, che hanno spaventato e appassionato milioni di spettatori. Una piccola curiosità: gran parte delle pellicole sono tratte da opere letterarie.
 
1. Shining
(USA/Gran Bretagna, 1980, Horror, durata 119') di Stanley Kubrick con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers
Lo scrittore Jack Torrence accetta il posto di custode in un albergo isolato sulle Montagne Rocciose. Si trasferisce all'Overlook Hotel con la moglie e il figlio ma, sotto l'influenza malefica del luogo, sprofonda nella follia e arriva a minacciare di morte i suoi cari.
Ispirato a un romanzo di Stephen King, Kubrick insieme alla scrittrice Diane Johnson adatta il libro per renderlo da una parte più fiabesco e dall’altra per costruire una rilettura più complessa dove trovano posto i miti di Saturno, Teseo, del Minotauro e dell'Edipo. Negli ambienti, rappresentati spesso con vedute panoramiche e immagini spersonalizzanti, la presenza umana diventa insignificante a confronto con la maestosità del paesaggio o con l'imponenza dell'albergo. Invece il labirinto di siepi dell'hotel richiama l'idea del labirinto mentale nel quale si perde il protagonista. La fredda luce artificiale rimanda allo spettatore una continua sensazione di disagio e claustrofobia.
Stilisticamente perfetto, un capolavoro che afferma che le radici del male sono nell'uomo, animale sociale, ma prospetta la possibilità di una riconciliazione, attraverso le doti paranormali del bambino e l’esaltazione del suo "shining" (luccicanza).
 
2. La notte dei morti viventi
(USA, 1968, Horror, durata 93') di George A. Romero con Duane Jones, Judith O'Dea, Russell Streiner, Karl Hardman
Una strada di campagna, un cimitero: Johnny e Barbra, fratello e sorella, arrivano per commemorare il non troppo amato padre. Li accoglie un silenzio spettrale, rotto da un’avvisaglia di un temporale. Johnny ha fretta di ripartire, ma un uomo si avvicina e li assale. E’ l’inizio di un incubo. I morti tornano in vita e attaccano Barbra, che si trincera in un casolare. L’assedio degli zombie sarà devastante...
Fortemente debitore del romanzo Io sono leggenda di Matheson, girato con pochissimi soldi e sciroppo Bosco al posto del sangue, è il film che rivoluziona il cinema orrorifico e con l’immagine degli zombie rilancia negli anni Settanta lo shocker su una linea narrativa nuova, visionaria e forsennata. Romero mostra esplicitamente quelli che sino ad allora erano stati tabù sociali mai violati, come la figlia che uccide la madre e il fratello che desidera mangiare la sorella. Per molti critici il film è una metafora della guerra del Vietnam e della libera circolazione delle armi, mentre per altri il cannibalismo rifletterebbe la possessività dei rapporti umani e l’ingordigia del capitalismo statunitense.
3. Rosemary's Baby
(USA, 1968, durata 136') di Roman Polanski con John Cassavetes, Mia Farrow, Ruth Gordon, Elisha Cook
Guy e Rosemary sono felicemente sposati e affittano un appartamento in una palazzina storica di New York. Lei è una donna semplice e molto premurosa nei riguardi del marito, lui un attore di scarso successo che fatica a trovare una buona parte. I vicini di casa sono anziani gentili e accoglienti. Rosemary però inizia a sospettare che dietro il volto rispettabile dei vicini ci sia una setta satanica e che il marito abbia fatto un patto con il diavolo pur di rilanciare la sua carriera. Paranoia o realtà?
Polanski adatta un romanzo di Ira Levin e mette al centro della sua storia il tema dell’ambizione. Cosa saremmo disposti a fare pur di diventare qualcuno? Ne esce fuori un incubo a occhi aperti che non ci permette di districarci dal groviglio di psicosi e sogni allucinati della protagonista, incapace di distinguere il fantastico dal reale. Per la prima volta in un horror il nemico è il tranquillo vicino di casa, un vecchietto borghese che diventa artefice di una congiura demoniaca. La sequenza più terrificante è quando Mia Farrow mette al mondo il figlio e si persuade che sia figlio del diavolo, ma questo non le impedisce di abbracciarlo come farebbe qualunque madre.
 
4. Il bacio della pantera
(USA, 1942, durata 73 min) di Jacques Tourneur con Simone Simon, Kent Smith, Tom Conway, Jack Holt
Una disegnatrice di moda serba, Irena Dubrovna, ritrae una pantera nella gabbia di uno zoo e suscita l'interesse di un architetto navale americano, Oliver Reed. Irena è attratta da Oliver ma è convinta che si trasformerà in una pantera se travolta dalla passione, dalla rabbia o dalla gelosia. Pensa infatti di essere una discendente della tribù demoniaca che invase il suo villaggio e convertì gli abitanti all’adorazione di Satana. Irena ha paura di trasformarsi in una belva. Ma è solo la sua paranoia?
“Baciami e ti graffierò a morte!", recitava la locandina e, a dispetto del budget striminzito, il film è stato un grande successo commerciale.
Superbamente recitato (con la Simon che suscita pietà e paura al tempo stesso), citato dallo scrittore Manuel Puig come opera imprescindibile, fonte di ispirazione per tutti gli horror e i thriller dei decenni successivi, suggerisce una dimensione fantastica senza mai esplicitarla e gioca continuamente sull’ambiguità della rappresentazione. Tourneur afferma il potere suggestivo del sonoro e dell’immaginazione. Il lato orrorifico è presente sotto forma di ombre sfuggenti e ambigue e di effetti sonori improvvisi e misteriosi. Per la prima volta si vede all’opera la cosidetta "tecnica  dell’autobus": in una sequenza Irena cammina dietro una ragazza e lo spettatore si aspetta che si trasformi in una belva. La tensione sale, la cinepresa inquadra il volto confuso della presunta vittima e, come colpo di scena, il silenzio è infranto da un suono simile al sibilare dell’animale, invece è l'autobus che accosta per far salire la ragazza. Dopo che l'emozione si sgonfia, il pubblico resta incerto se sia accaduto qualcosa di mortale.
 
5. Ring
(Giappone, 1998, durata 96 min) di Hideo Nakata con Nanako Matsushima, Hiroyuki Sanada e Rikiya Otaka
Reiko è una giornalista che indaga sulla morte inspiegabile della nipote e di alcune delle sue amiche che si dice abbiano visto una videocassetta una settimana prima della loro morte. Le ricerche la conducono in una località di vacanza dove trova la videocassetta, che contiene una serie di immagini surreali, e vedendola anche lei diventa vittima della maledizione, finché si rende conto che ad apparire nel filmato è una sensitiva deceduta molto tempo prima.
Tratto dal best-seller di Kôji Suzuki e sceneggiato da Hiroshi Takahashi, il film si discosta dal modello letterario e punta sugli elementi di inquietudine e di mistero più sottesi. Che in un’era ipertecnologica una maledizione si possa trasmettere attraverso una videocassetta, è un’idea geniale e afferma con tratti ossessivi il rischio presente dietro ogni percezione visiva e auditiva dei nostri tempi. Il fantasma generato dalla videocassetta si muove a scatti, come i fotogrammi di una pellicola, e può apparire ovunque e in qualunque momento.
Seppure mai distribuito in Italia, Ring ha varcato i confini dell’oriente e rifondato l’horror mondiale allontanandolo dalle truculenze splatter degli anni Ottanta per affermare un concetto più astratto e impalpabile di paura. Una nuova dimensione dell’incubo, espresso nella sua pura essenza, entra a far parte del nostro immaginario.
 
6. Lasciami entrare
(Svezia, 2008, durata 114 min) di Tomas Alfredson, con Kåre Hedebrant, Oskar Lina Leandersson e Per Ragnar.
A Stoccolma, Oskar, un ragazzino di 12 anni maltrattato e picchiato dai compagni di scuola, conosce Eli, una strana ragazzina dai lineamenti gitani che si è trasferita da poco nel suo quartiere. Mentre iniziano a verificarsi efferati e misteriosi omicidi, che gettano nel terrore l'intera comunità, Oskar si innamora della sua coetanea ma scopre che è una vampira.
Teen-horror basato sul romanzo semi-autobiografico di John Ajvide Lindqvist, è la rivelazione degli ultimi anni e la migliore pellicola sui vampiri moderni. Lontano dalla carineria modaiola di Twilight, esprime raffinata e romantica poesia nella tenera love story tra due adolescenti diversi e costretti alla solitudine in una cornice invernale glaciale e oscura. Alfredson enuncia senza falso buonismo quali sono i bisogni fondamentali di una succhia sangue, condannata per sempre alle tenebre. “Uccido perché devo vivere”, dice con candore Eli. E i due protagonisti, seppure abbandonati a se se stessi, in una visione meno pessimistica del loro futuro troveranno un modo di comunicare al di là della parola.
  
7. Tesis
(Spagna, 1996, durata 125 min) di  Alejandro Amenábar con Ana Torrent, Fele Martínez e Eduardo Noriega
Angela e' una studentessa universitaria di scienze delle comunicazioni e sta preparando una tesi sulla violenza nell'utilizzo degli audiovisivi. Per aiutarla il professore cerca nella videoteca universitaria qualche immagine molto violenta e scopre per caso una nascondiglio pieno di videocassette di snuff movie. Ma è ignaro delle conseguenze...
Esordio del maggior talento visivo spagnolo, vincitore di numerosi premi Goya, Tesis riflette in modo disturbante sulla violenza, sui suoi meccanismi fascinatori e sui limiti etici della rappresentazione. Tutti i personaggi risultano ad un passo dal superare il confine tra il pensiero e la sua realizzazione e tra il desiderio e il suo annientamento, attratti in una spirale negativa. La violenza è quasi sempre accennata e mai esibita, ma il terrore psicologico è reale. Un copione innovativo e ricco di colpi di scena lascia senza fiato e offre un coinvolgimento a cui è difficile sottrarsi. Lo spettatore si pone nelle stesse condizioni della protagonista, a sua volta spettatrice di riprese amatoriali di snuff movie, in una morbosa complicità. La morale è che solo tirando fuori una parte di sé, la parte oscura di cui si ha paura, la si riconosce e la si accetta.
 
8. Santa sangre - Sangue santo        
(Italia, 1989, durata 110 min) di Alejandro Jodorowsky, con Guy Stockwell, Alejandro Jodorowsky, Blanca Guerra, Sabrina Dennison
Fenix è un bambino sensibile. I suoi genitori lavorano in un circo, ma quando la madre sorprende il padre a letto con un’altra lo evira con l’acido solforico e lui le amputa le braccia. Traumatizzato, Fenix cresce in un ospedale psichiatrico e dopo vent’anni evade e raggiunge la madre. La donna nel frattempo, seppure monca, ha creato una sua setta e spinge Fenix a uccidere giovani donne in nome del suo fanatismo mistico.
Jodorowsky dirige il suo film più coerente dal punto di vista narrativo e segue con fedeltà lo spartito di Roberto Leoni, che sceneggia una storia ricavata da un fatto di cronaca. Una prima parte tenera e struggente, quasi fellininiana, che racconta l’infanzia del protagonista tra clown e numeri da circo, e una seconda perversa e feroce che vira sullo splatter con ettolitri di sangue e una fotografia tetra. In mezzo lo shock di una morte efferata mai vista sullo schermo. Omaggio a Freaks e al grande Hitchcock, favola nera dalla violenza espressiva inusitata e dall’assunto teologico originale, non manca di spunti di umorismo grottesco e di intensità melodrammatica.
9. Frailty – Nessuno è al sicuro
(USA, 2002, durata 100 min) di Bill Paxton. Con Bill Paxton, Matthew McConaughey, Power Boothe, Luke AskewThriller
Il caso di un serial killer chiamato "la mano di Dio" sembra destinato a rimanere insoluto, ma l’agente dell’Fbi Wesley Doyle riceve la visita di un uomo, Fenton, che confessa di essere il fratello del killer, morto suicida. Fenton racconta del padre, convinto di essere stato incaricato da Dio di uccidere i "demoni" che si annidano in alcuni uomini, e di lui non  abbia voluto seguirlo nella sua follia religiosa.
Esordio registico di Bill Paxton, apprezzato anche dal "maestro" Stephen King, parte da una magistrale sceneggiatura a flashback di Brent Hanley per fare un ritratto dissacrante della profonda America rurale immersa nei suoi fanatismi e nelle sue ossessioni. La storia è ricca di riferimenti biblici ed è stata letta come una critica a ogni integralismo, religioso. Paxton rinuncia al trash e agli effetti spettacolari e punta tutto sulla tensione psicologica, con movimenti inquietanti e angosciosi del racconto e conflitti di livello insostenibile. Al centro della narrazione gotica quella psicosi che nasce nella quotidianità e risulta forse più spaventosa di qualsiasi altro evento soprannaturale.
 
10. Profondo Rosso
(ITA, 1975, durata 95) di Dario Argento. Con David Hemmings, Clara Calamai, Macha Méril, Eros Pagni, Giuliana Calandra.
Marc, giovane pianista, assiste all'assassinio di una medium ma non riesce a vedere il volto dell'omicida. Inizia ad indagare sul delitto, aiutato da una bella giornalista, ma una ad una le persone con cui viene in contatto sono assassinate in modo brutale. La verità è racchiusa in qualcosa che a Marc è sfuggito.
I meriti del film non vanno cercati nella sceneggiatura, ma in una regia barocca e frenetica, nella macchina narrativa costruita per fare spavento, in uno stile sontuoso e visionario che poi farà scuola e avrà parecchi epigoni. L’apice creativo di Argento segna il superamento della fase thriller e rappresenta un duro attacco ai nervi dello spettatore. In ogni sequenza la tensione non si stempera. Non c’è mai una tregua, perché un piccolo dettaglio finisce per gelarci il sangue. Il tema musicale eseguito dai Goblin, la barocca cornice scenografica, l’attenzione iperbolica per gli oggetti rafforzano la delirante dimensione gotica del film. Il finale è da urlo.

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